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29/03/07

Boss che comandano dal carcere!!!

Ti accorgi che le cose, in Italia, non funzionano, quando vedi che un boss di camorra, nonostante sia in carcere, ha ancora il comando del suo clan, decidendo della vita edella morte dei suoi avversari... Il 41-bis non viene, ormai, più applicato... Il sistema si allarga, prende potere... Dobbiamo muoverci prima che sia troppo tardi...

Faida nei vicoli: dalle celle l'ordine di uccidere

Scritto da Leandro Del Gaudio da il Mattino
giovedì 29 marzo 2007

L’ordine di uccidere è partito dalle celle. È uno dei profili investigativi battuto nel corso dell’inchiesta sulla faida del rione Sanità. Uno scenario da brividi, che impone alla Dda di Franco Roberti di lavorare su tutte le piste possibili per scongiurare nuovi delitti nella faida tra il clan Misso e il clan Torino, una guerra per la conquista dei vicoli del centro storico che ha consumato già dodici omicidi.

Una guerra che va avanti dal 2005, nonostante gli arresti dei boss delle due fazioni. Gli inquirenti ipotizzano che gli ultimi ordini di uccidere siano partiti proprio dalle carceri in cui sono detenuti i reggenti dei due schieramenti in guerra. Ed è un motivo che spinge gli inquirenti a monitorare in queste ore i registri delle sale colloqui nelle case circondariali in cui sono detenuti capi e affiliati. Sott’osservazione almeno dieci detenuti ritenuti eccellenti. L’obiettivo è chiarire chi può aver dato l’imprimatur a omicidi che sembrano studiati a tavolino, che sono il frutto di una sapiente strategia di alleanze per eliminare il fronte avversario. Poco rassicurante anche una seconda conferma investigativa: la faida della Sanità, che due notti fa ha fatto registrare l’omicidio di Alfonsino Uccello, e il ferimento di Ciro De Marino e Marco Savarese, nasce da un accordo tra il cartello degli scissionisti di Secondigliano (quelli che stanno accerchiando il clan Di Lauro) e gli scissionisti del clan di Salvatore Torino, il famigerato «totoriello» con un passato nelle fila della cosiddetta Alleanza di Secondigliano e in ottimi rapporti con i Lo Russo di Miano. Ipotesi che vengono confortate dalle indagini dei pm Sergio Amato e Barbara Sargenti, del pool anticamorra Franco Roberti. Indagini che passano attraverso un paio di snodi cruciali: il 30 ottobre viene ucciso Vincenzo Prestigiacomo, marito di Celeste Misso, individuato dai rivali come il reggente in pectore, perché si era recato due volte a colloquio con i boss detenuti del clan Misso. La risposta lo scorso 23 marzo, con l’omicidio di Vincenzo Cerbone, cognato di Fausto Valcarenghi. Ques’ultimo era stato arrestato pochi giorni prima proprio come esecutore dell’assassinio di Prestigiacomo. Nel corso di un colloquio in carcere con il detenuto Salvatore Torino si era vantato di aver portato a termine l’omicidio Prestigiacomo, in un’affollatissima via Foria. Quattro giorni dopo il delitto Cerbone, il triplice agguato di due notti fa. Quanto basta ad ipotizzare ordini precisi che partono probabilmente dalle carceri, dove i boss dei due schieramenti studiano mosse, agguati e alleanze. Un motivo in più che spinge gli inquirenti a fare terra bruciata attorno ai reggenti. Dieci giorni fa, il Dap ha tradotto al regime di carcere duro i nipoti di Giuseppe Misso, vale a dire i tre fratelli Giuseppe Misso jr, Michelangelo e Emiliano Zapata Misso. Misure straordinarie, dettate dall’esigenza di impedire nuovi colpi di coda nella faida della Sanità.

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