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13/10/07

Rassegna stampa antimafia!!!!

Processo “talpe”: Accordo con Cosa Nostra? I pm ridimensionano l’accusa
11 ottobre 2007

Palermo. Inaspettata la precisazione in aula della pubblica accusa al processo sulle “talpe” che in questi giorni sta trattando il capitolo sulle “fughe di notizie” contestate al Presidente della Regione Totò Cuffaro. I pm Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e l’aggiunto Pignatone che stanno processando il Governatore, scelgono la fase della requisitoria per ufficializzare le motivazioni che li hanno condotti a contestare al politico il reato di favoreggiamento aggravato e non quello di concorso esterno. Secondo i pm non ci sarebbe la prova dell’accordo tra Guttadauro e Cuffaro di candidare alle regionali del 2001 Mimmo Miceli. «Se vi fosse saremmo in presenza di una responsabilità di concorso esterno in associazione mafiosa». Da qui la scelta di ascrivere a Cuffaro il solo favoreggiamento aggravato. Una valutazione che aveva portato a una spaccatura all’interno del pool originariamente costituito anche dai magistrati Nino Di Matteo e Gaetano Paci, dissidenti proprio sulla linea accusatoria adottata dai colleghi e quindi dimissionari dal processo. Una discrepanza di metodo e di opinioni che aveva portato a uno scisma anche all’interno della Dda con altri sostituti procuratori anche loro sostenitori della linea più dura. Le dichiarazioni di De Lucia, echeggiate dalle prime agenzie stampa, non sono comunque rimbalzate nel vuoto, suscitando dagli uffici giudiziari la secca risposta del procuratore aggiunto Alfredo Morvillo: «Quelle espresse in aula su Cuffaro sono valutazioni individuali dei due sostituti titolari del processo. La linea dell’ufficio è quella nota a tutti, ovvero quella consacrata nella riapertura dell’indagine del procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa, richiesta pienamente accolta dal giudice per le indagini preliminari». Un’inchiesta che a quattro mesi dalla riapertura attende di essere assegnata dal procuratore capo Messineo, il quale cercando di smorzare i toni sulla vicenda ha precisato:«Niente guerra, niente spaccatura. Escludo che si possa parlare di una situazione conflittuale così grave. C'é una discussione in atto sulle strategie processuali e sulla conduzione di determinati procedimenti, sulla quale rifletteremo nelle debite sedi». Messineo che ieri era fuori sede ha poi affermato: «Conto di incontrare al più presto i due pm per procurarmi altre e più puntuali informazioni sulle caratteristiche delle valutazioni da loro espresse in udienza non ero al corrente della loro iniziativa, ne parleremo insieme appena possibile».Intanto De Lucia e Prestipino hanno continuato in aula la contestazione sulle responsabilità di Cuffaro, definendo la sua linea difensiva “antimafia di facciata” che con i suoi manifesti tesi a depistare e ingannare l’opinione pubblica esordiva con “la mafia fa schifo”.
Che Cuffaro sia stato al corrente che Miceli, suo candidato, fosse in contatto anche con Guttadauro non v’è alcun dubbio. «Nel momento in cui il presidente dà notizia a Mimmo Miceli del fatto che a casa di Guttadauro c’è una microspia – ha detto De Lucia – egli sa benissimo dei rapporti che intercorrono tra Miceli e il capomafia di Brancaccio. In questo momento lui è consapevole di stare agevolando non solo il boss, ma l’intera cosa nostra, perché consente ai mafiosi di sfuggire alle indagini che grazie a quelle microspie stavano svelando segreti e retroscena dell’organizzazione». Sul capitolo relativo alla fuga di notizie il pm si è soffermato anche nei giorni scorsi. «Cuffaro risponde di due delitti di favoreggiamento riconducibili a due vicende: quella delle informazioni ad Aiello, Ciuro e Riolo sulla loro sottoposizione a indagini nell’ottobre 2003 e la vicenda della rivelazione di microspie nell’appartamento di Guttadauro nella primavera estate del 2001». Nel secondo caso De Lucia ha affermato che dei tre episodi contestati a Cuffaro uno solo ha trovato conferma nelle dichiarazioni di un “personaggio chiave” del processo “talpe”: il collaboratore Salvatore Aragona. Rifacendosi alla motivazione della sentenza Miceli (condannato in primo grado a otto anni per concorso in associazione mafiosa), il magistrato ha affermato che non vi sarebbero prove sufficienti a sostegno della prima narrazione di Aragona riguardo la diffusione della notizia sulle indagini del Ros giunta a Miceli da Cuffaro e Borzacchelli. L’incontro a cui si riferisce De Lucia è quello relativo all’incontro all’Hotel Quark di Milano del 29 marzo 2001. Nel capoluogo lombardo Miceli si era recato nel tentativo di ricevere un aiuto da Aragona per gestire la delicata situazione che si era creata a Palermo, dove si trovava a mediare tra il Presidente Cuffaro e il boss Guttadauro per la designazione del candidato Priola (legale del boss). In quell’occasione l’ex assessore alla sanità di Palermo gli avrebbe rivelato l’esistenza delle indagini sul capomandamento di Brancaccio ma secondo il giudice di primo grado Raimondo Loforti «non sono emersi elementi di conferma sul presunto ruolo di informatore che, come affermato da Aragona, l’imputato (Miceli) avrebbe svolto in quei giorni».
Il secondo “anello” debole dal punto di vista probatorio sempre secondo De Lucia, riguarderebbe la cena del 24 giugno 2001 al Riccardo III di Monreale, dove Aragona aveva appreso da Miceli, a sua volta informato da Borzacchelli e Cuffaro, dell’esistenza di più microspie in casa Guttadauro. Anche qui il pm ha confermato l’assenza di riscontri diretti. Il contrario invece era emerso durante la requisitoria del processo Miceli esposta dai pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci. Secondo questi e il giudice che le ha confermate, le dichiarazioni di Aragona trovavano riscontro oltre che dalla testimonianza di Riolo, anche da quella di Renato Vassallo comune amico di Miceli e Aragona che la sera del 24 si trovava al “Riccardo III”.
Il teste aveva raccontato dettagliatamente lo svolgimento della serata in cui avevano cenato per festeggiare la fine della campagna elettorale del presidente Cuffaro. «Dopo aver illustrato i suoi rapporti di amicizia con Aragona e Miceli, Vassallo ha precisato che era giunto presso il locale in compagnia del primo, che insieme avevano preso posto allo stesso tavolo di Cuffaro, dove si trovavano anche altre persone (…) la serata si era svolta normalmente, fino alla conclusione del banchetto e fra gli invitati era presente pure il Mar.llo Borzacchelli».
«Nel momento in cui avevano deciso di andare via il teste era uscito dal ristorante prima di Aragona, per andare a recuperare l’auto, ed aveva notato un folto gruppo di persone, fra cui Miceli ed Aragona, che parlottavano fra loro sotto il porticato di ingresso: il fatto non lo aveva colpito in modo particolare, in quanto aveva pensato che si attardassero nei saluti. Al suo ritorno, aveva assistito ad un’animata discussione fra Miceli ed Aragona che, molto alterati e preoccupati, parlavano della scoperta di microspie in casa Guttadauro, esprimendo tutta la loro rabbia». Vassallo aveva descritto la concitazione e le parole che erano rimbalzate tra Miceli e Aragona entrambi in preda a un delirante confronto. La sua deposizione dunque aveva confermato la narrazione di Salvatore Aragona raccontando anche il seguito della serata al termine della quale, durante la corsa in auto per raggiungere il cognato del boss a Bagheria (verosimilmente Vincenzo Greco), il teste aveva avuto una discussione con Aragona perché non voleva essere coinvolto nella questione. «La sorpresa – aveva concluso il giudice – e la reazione immediata che tanto hanno colpito il teste concorrono dunque ad accreditare la versione di Aragona e ad individuare l’imputato (Miceli) come l’effettivo latore delle informazioni ricevute dal collaboratore quella sera». Inoltre «la descrizione dell’incontro appartato di Miceli con Borzacchelli e con Cuffaro, nel corso del quale il primo sarebbe stato messo a sua volta al corrente delle rivelazioni, risulta invece riportata solo dalle dichiarazioni di Aragona. Ma il fatto che tale aspetto, relativo alle modalità di apprendimento di Miceli, non ha trovato riscontro, non è sufficiente a screditare anche l’altra parte del racconto». Quella parte cioè che risulta invece confermata dalla ricostruzione di Riolo il quale aveva dichiarato che, nel periodo di poco precedente al ritrovamento delle microspie, aveva confidato al Maresciallo Borzacchelli proprio dell’esistenza di microspie a casa di Guttadauro ed il coinvolgimento di Mimmo Miceli in quelle indagini. Ragion per cui Borzacchelli quel 24 giugno sapeva delle indagini. Riolo aveva poi raccontato di aver parlato nuovamente della questione con il sottufficiale e Cuffaro alcuni giorni dopo il ritrovamento delle microspie, rilevando «senza fornire altre indicazioni sui passaggi intermedi della notizia» che quest’ultimo «risultava già al corrente della circostanza».
Riguardo Aragona va detto che già dall’estate del 2002, rimaneva l’unico dei soggetti interessati a collaborare con la giustizia e l’unico a riferire alcune delle parole più compromettenti per il Governatore captate da quelle famose microspie.
A detta di Aragona la frase più “pericolosa” registrata era: «“ma allora avevano ragione” o qualcosa di simile». All’epoca però quella frase non risultava ancora agli atti del processo. L’espressione a cui si riferiva Aragona “Veru, ragiuni avia Totò Cuffaro” era emersa in dibattimento solo molti mesi dopo durante la deposizione del maresciallo del Ros Giorgio Riolo. Quella esclamazione fatta dalla moglie del boss durante il ritrovamento della prima “cimice” verrà trovata nelle bobine non trascritte dei Carabinieri. Dei tre episodi relativi alle “fughe di notizie” fin’ora attribuiti a Cuffaro in favore di Guttadauro, stando alle prime agenzie dunque, se ne accerterebbe uno solo: quello relativo al 12 giugno 2001. Data in cui Mimmo Miceli incontrandosi nella sua segreteria politica con Salvo Aragona gli riferisce che era stata intercettata una telefonata in cui “Peppino” parlava al telefono con “Mimmo”. La fonte della notizia, ha precisato De Lucia, è Cuffaro. «Questa informazione portò tre giorni dopo alla scoperta e alla neutralizzazione dell’indagine». La lettura del capitolo sulle “fughe di notizie” di De Lucia ha suscitato l’immediato compiacimento della parte difensiva del Presidente della Regione. «Quello che abbiamo ascoltato – hanno commentato compiaciuti i legali di Cuffaro Caleca e Mormino – è un atto processuale estremamente importante, abbiamo assistito a un ridimensionamento significativo dell’accusa». I pm a loro volta non hanno replicato ma il giorno seguente in aula hanno spiegato che «per ipotizzare il concorso esterno è necessario che vi sia un rapporto con l'associazione mafiosa e la volontà di interagire con le condotte altrui. Ovvero la ritenuta sussistenza di un preciso patto criminoso». I magistrati hanno quindi rilevato che «il punto cruciale è la candidatura di Mimmo Miceli alle regionali del 2001». «Se vi fosse la prova - ha detto De Lucia - che tale candidatura è stata concordata con Guttadauro, saremmo in presenza di una responsabilità di concorso esterno in associazione mafiosa per Cuffaro. Dagli atti, però, non emerge la prova di questa condotta. Non sono ritenute, infatti, prove sufficienti le dichiarazioni di Aragona e le conversazioni intercettate a casa Guttadauro sulle manovre pre-elettorali». Una valutazione non condivisa però da molti colleghi della Procura che attendono l’avvio dell’inchiesta-bis sul Presidente Cuffaro accusato di concorso alla mafia.

Silvia Cordella
(tratto da: www.antimafiaduemila.com)

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